Disturbi della relazione primaria.
Psicosi Puerperale
Gli studi relativi al disturbo della relazione primaria costituiscono un’ambito di ricerca di grandissimo interesse e di estrema complessità. Di grandissimo interesse perché in quest’ambito convergono ricerche di molteplice provenienza.
Di estrema importanza, in quest’ambito, sono i risultati della ricerca neuroscientifica. (Claudia Bartocci, Il sogno come culla del simbolo del Sè in Il sogno in analisi e i suoi palcoscenici, Magi 2012)
Queste ricerche favoriscono una diversa comprensione del disturbo mentale e consentono quindi di variare l’approccio terapeutico tenendo conto di dimensioni primitive della psiche e del ruolo fondamentale della relazione per lo sviluppo della mente.
Ed inoltre permettono l’elaborazione di progetti di prevenzione che implicano l’intervento su donne considerate a rischio già nei primissimi mesi della gravidanza e attualmente anche nella fase immediatamente successiva al concepimento.
Un primo gruppo di studi si concentra sul significato che il desiderio di maternità riveste per la donna, già a partire dai lavori di Freud, della Deutsch e di M. Klein fino ai lavori di Nunziante Cesaro e del filone della cosidetta psicoanalisi femminista.
Sjlvain Missionier, che oltre ad insegnare a “Paris X” lavora nel reparto maternità dell’ospedale di Versailles, nel suo testo “La consultazione terapeutica perinatale”, (R. Cortina, 2005) scrive:
“Sono convinto, che l’intuizione di Freud sulla nascita come fonte e modello dell’angoscia non abbia affatto perduto la sua forza. Credo, infatti, che questa teorizzazione della genesi e della formalizzazione dell’angoscia possa oggi assumere il ruolo di connessione unificante, in grado di anticipare quanto vivono lattanti e genitori durante un periodo perinatale i cui esiti sono rivelati dalle disarmonie e a volte perfino dalle tragedie che lo caratterizzano.
Esplorare “l’angoscia originaria della nascita” (Freud, 1926) significa in realtà penetrare direttamente nella complessità del legame di filiazione di cui l’angoscia di separazione – “dalla perdita dell’oggetto materno fino alla castrazione” è il principale testimone. (Freud, 1926 citato in Missionier, ibidem, p.27)
La nascita quindi va intesa come nascita biologica ma, contemporaneamente, come nascita della psiche del bambino e come nascita della rappresentazione della psiche del bambino nella psiche dei genitori.
Nel suo celebre articolo “Il ruolo dello specchio della madre e della famiglia nello sviluppo del bambino.” (D.W. Winnicot 1971b), Winnicot descrive il bambino che, tenuto in braccio dalla madre ne guarda soprattutto il viso...il bambino che guarda la madre vede gli occhi della madre che lo guarda, mentre lui la guarda e in questo processo comportamentale, affettivo e fantasmatico reciproco il lattante si scopre nel viso di sua madre e simultaneamente la madre si scopre madre.
Un secondo filone di ricerca è volto ad individuare, nel corso della gravidanza stessa, le diverse fasi psicologiche della donna, con ansie e conflitti specifici.
Da quando D. W. Winnicot ha descritto l’importanza dell’investimento affettivo della gestante verso il feto introducendo il concetto di “preoccupazione materna primaria” grande importanza viene attribuita alla qualità del legame prenatale.
Legame da cui sembra dipendere l’attaccamento post-natale.
Nel 1981 Cranlej ha individuato uno strumento valutativo atto ad indagare “l’attaccamento materno-fetale” e successivamente molti altri autori si sono concentrati su questa rilevazione.
Essendo la gravidanza un periodo “critico” in senso sia regressivo che maturativo, in cui la donna deve confrontarsi e rielaborare il suo passato ed in particolare il rapporto fantasmatico e reale con la propria madre, molta attenzione viene prestata alle oscillazioni identificatorie che spingono la donna da un lato a ripiegarsi su se stessa e a ritirarsi con il feto e dall’altra a identificarsi con una madre sollecita che saprà occuparsi del proprio bambino (Ammaniti e coll. 1995).
La maternità riporta la donna ad uno stato primario in cui il bambino diventa teatro delle mancanze e delle paure della propria infanzia, il persecutore che con le sue richieste, lacrime e grida, può risvegliare esperienze traumatiche di abbandono negligenza e solitudine (Delasuss).
La gravidanza rappresenta una crisi maturativa, che produce un cambiamento.
La donna non sarà più la stessa.
Come ogni crisi maturativa (adolescenza e menopausa) implica regressione, adattamento delle difese, modifiche nell’organizzazione del senso di Sè, nuove identificazioni disponendosi la donna a vivere “nel figlio”, prima come oggetto-Sé e poi come oggetto separato da Sé.
Tra concepimento, gravidanza e nascita si realizza un’elaborazione psicologica che porta a un nuovo equilibrio maturativo quale specifica costruzione dell’identità femminile, ma che può anche arroccarsi in forme regressive di difesa.
Autori come Bibring, Ferraro e Nunziante Cesaro hanno messo in discussione anche il concetto di istinto materno e la concenzione della maternità come ultima ed ineludibile tappa dell’acquisizione di una vera identità femminile adulta.
Pur essendoci una spinta biologica a procreare come in tutti gli altri animali, negli esseri umani c’è una maggiore complessità e si preferisce parlare, invece che di “istinto materno” di “sentimento materno”, per evocare la maggiore complessità, ambivalenza inclusa.
Un terzo, più recente, filone di ricerche studia in senso longitudinale le modificazioni che avvengono nella donna circa la rappresentazione di Sè, del bambino, dei propri genitori e del padre del nascituro in varie fasi delle gravidanza e qualche mese dopo il parto; contesto nel cui ambito vengono considerate anche le idee che la donna elabora sulla maternità e sulla cura dei bambini nel corso della gravidanza, nonché sul maternagè che verrà effettivamente fornito al bambino dopo la nascita (Raphael- Left, 1983).
Oltre a questi ambiti di ricerca che si concentrano sulla donna e la gravidanza, importantissimi dati vengono forniti
DALL’INFANT RESEARCH E DALLE NEUROSCIENZE.
L’Infant research ha permesso da tempo di sostituire l’immagine del neonato passivo a quella del “neonato competente”, capace di elaborare informazioni provenienti dall’esterno (Piaget) ma anche di creare e mantenere l’interazione con la figura di accudimento (Stern) e il ruolo di questa relazione, appunto, primaria è tale da consentirci oggi di affermare, grazie alle evidenze ottenute con la “Brain imagines” che la stessa evoluzione della mente è ad essa strettamente connessa e non dipende unicamente, come un tempo si riteneva dalla maturazione del sistema nervoso.
Ora sappiamo che la genetica determina la macromorfologia del cervello, la cui micromorfologia è determinata e modulata dalla relazione che il bimbo insataura con il caregiver che, in termini psicoanalitici, deve svolgere la fondamentale funzione di digerire, alfabetizzare, favorire l’evoluzione delle capacità affettive e cognitive del bimbo.
E’ ormai ampiamente documentato che la depressione materna rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo socio-emozionale del bambino.
La presenza di sintomi depressivi durante la gravidanza è il maggior predittore di depressione post partum e la depressione materna disturba lo sviluppo cognitivo e affettivo del bimbo.
Già durante la gravidanza i sintomi depressivi espongono il feto agli effetti delle variazioni ormonali e dei livelli di cortisone ed è ampiamente documentato che questi bimbi nascono in genere prematuri, con basso peso alla nascita ed inferiori prestazioni ai test neurologici e comportamentali; presentano frequentemente disturbi del sonno ed attaccamento disorganizzato.
La severità della depressione materna sembra dipendere da 3 variabili:
- severità della depressione;
- comorbilità;
- abilità della madre ad essere attiva e normale verso il bimbo nonostante la depressione.
Un’area particolarmente critica e di grande interesse per il clinico è IL PROCESSO DI REGOLAZIONE AFFETTIVA.
Tra i severi fattori che la depressione materna produce sullo sviluppo del bambino il cronico fallimento del processo di mutua regolazione sembra far sì che i bimbi di madri depresse sviluppino inconsciamente strategie volte a compromettere il loro stesso sviluppo. I disturbi affettivi di questi bimbi non sono solamente il risultato di mimesi o imitazione.
Ma, a causa della coloritura degli affetti che la madre sente nei confronti del bimbo, le capacità regolative di quest’ultimo non si sviluppano adeguatamente e gran parte delle funzioni affettive e cognitive dell’infante devono essere impiegate per creare una sorta di impacciata forma di autoregolazione che compensi il fallimento della madre che non svolge il suo ruolo di regolatore esterno.
E’ noto che all’interno dei primi processi di regolazione l’interazione tra madre e infante è caratterizzata dalla condivisione di affetti positivi, reciprocità, sincronicità e sintonizzazione.
Il processo di regolazione affettiva è l’effetto ottimale dell’incontro tra la predisposizione biologica dell’infante e le caratteristiche della relazione primaria. Si vedono in azione allo stesso tempo la auto-regolazione e il comportamento interattivo del bimbo e l’abilità materna di interpretare e rispondere adeguatamente ai segnali del bambino.
Se le variazioni dello stato emozionale della madre non sono sintone o risultano repentine oppure se la madre risponde con atteggiamenti di evitamento e rifiuto alle richieste affettive e di cura del bimbo, l’infante cerca di regolare il proprio perturbato stato affettivo riducendo la propria relazione con il mondo esterno e la recettività percettiva, ritirandosi in una dimensione autoreferenziale in cui sviluppano comportamenti di autostimolazione e di auto-conforto come ad esempio succhiarsi il pollice, accarezzarsi il viso, dondolarsi ecc.
Inizialmente queste capacità di autoregolazione sono limitate e immature: il bambino ha bisogno di abilità di regolazione aggiuntive che dovrebbero essere fornite dalla madre che interpreta i comportamenti di auto-regolazione e risponde appropriatamente favorendo le capacità dell’infante e consentendone la maturazione. Il bambino è al tempo stesso capace di comportamenti relazionali, il sistema di autoregolazione è DIADICO e con il sorriso il bimbo stimola l’altro ad interagire mentre cerca di fermarlo con il pianto. Entrambi i membri della coppia cercano di ridurre le emozioni negative e di arricchire l’incontro di emozioni positive. Eventi critici per la regolazione reciproca sono quindi i processi di rottura della sintonizzazione e di riparazione. Nel caso di una adeguata relazione primaria si osservano un 65% di momenti di comunicazione non sintonizzata, ma più della metà di questi gap comunicazionali vengono subito riparati. Gli stati di mancata coordinazione sono positivi perché incrementano le capacità regolative e di riparazione.
I bimbi che maggiormente sviluppano capacità riparative risultano i meno stressati e i meno facilmente tristi. Nell’interazione con una madre depressa la continua frattura e fallimento della reciproca interazione sottopone il bambino ad una continua esperienza di emozioni negative e al senso continuo di perdita della connessione con l’altro.
Nel, a sua volta fallimentare, tentativo di opporsi agli affetti negativi i bambini sviluppano uno stato d’animo depressivo, caratterizzato in particolare da rabbia e tristezza; uno stile difensivo e mancanza di fiducia nel care-giver.
Ciò che molte ricerche evidenziano è che per effetto di una relazione primaria disturbata si sviluppano modelli interni di regolazione caraterizzati da eccesso o deficenza della funzione difensiva.
LA DEPRESSIONE POST-PARTUM è una grave psicosi, caratterizzata dalla presenza di allucianzioni uditive e visive che spesso hanno carattere imperativo ed incitano la madre ad uccidere il bambino (sindrome di Medea) o ad uccidersi. Il picco compare in genere nel secondo o terzo mese ma la depressione può manifestarsi entro il primo anno. Generalmente aumenta l’ansia e la preoccupazione per il proprio compito, senso di insufficienza ed incapacità. Compaiono irritabilità, incapacità a prendere decisioni, astenia, tristezza profonda, disinteresse per il bimbo e, nei casi più gravi, si assiste ad una assoluta scomparsa dell’affettività. Diminuisce l’appetito, compaiono disturbi del sonno, il bimbo è vissuto come un peso insopportabile e questo innesca ed aggrava i sensi di colpa della donna per la propria inadeguatezza ed insufficienza. Nei casi peggiori compare un pianto inconsulto e continuato e lo sviluppo di fobie di poter far del male al bambino incrementa lo stato depressivo. Frequentemente la madre, oltre a relazioni distorte, sviluppa una forte ambivalenza nei confronti del piccolo ed ostilità inconscia che può condurre ad una “ideazione paranoicale” circa la salute fisica e psichica del bambino visto come portatore di handicap, disturbato, posseduto.
Tale ideazione può permanere sia pure silente anche se i sintomi depressivi tendono a diminuire e poi riemergere in seguito a fattori scatenanti di vario genere conducendo a volte ad acting out, ad atti lesivi nei confronti del bimbo in modi e forme assolutamente imprevedibili ed incomprensibili.
L’attacco al figlio è naturalmente continuo attacco al Sè, essendo il bimbo vissuto come un proprio prolungamento narcisistico.
I figli che hanno subito continue umiliazioni ed abusi da parte della madre tendono poi a riprodurre questo modello di relazione con se stessi.