Per le patologie psicosomatiche di particolare interesse è la posizione di Johannes Cremerius www.cremeriusjohannes.it con cui la dottoressa Bartocci ha completato la sua formazione a Milano e Friburgo.
J. Cremerius è stato Docente di Psicosomatica all’Università di Friburgo a partire dal 1962, grazie alle interessanti ricerche da lui condotte in questo campo.
La sua posizione rispetto alla psicosomatica è rinvenibile in Psicosomatica clinica, Borla Edizioni
Convinzione diffusa è che esistano “alcune” patologie psicosomatiche e che quindi solo alcune manifestazione patologiche possano avere una eziologia psichica
In realtà la psicosomatica è una branca della psicologia clinica volta a ricercare la connessione tra un disturbo somatico (anche generico) e la sua eziologia che è sempre di natura anche psicologica.
Il suo presupposto teorico è infatti la considerazione dell’essere umano come inscindibile unità psicofisica; tale principio implica che accanto ai fattori somatici giochino un ruolo anche i fattori psicologici.
Patologie psicosomatiche, in quest’ottica, sono tutte le forme di sofferenza che si manifestano attraverso il soma (corpo).
L’interconnessione tra un disturbo e la sua causa d’origine psichica si riallaccia alla visione olistica del corpo umano, all’interno della consapevolezza che mente e corpo sono strettamente connessi.
Uno degli indirizzi più promettenti della ricerca in psicosomatica negli ultimi trent’anni (grazie anche allo sviluppo e alla nascita di nuove tecniche e tecnologie biomediche) è la psiconeuroendocrinimmunologia (PNEI), che ha l’obiettivo di chiarire le relazioni tra funzionamento psicologico, secrezione di neurotrasmettitori a livello cerebrale, ormoni da parte del sistema endocrino e funzionamento del sistema immunitario.
Una visione di questo tipo è da sempre stata presente in psicoanalisi.
Sigmund Freud, attraverso gli studi sull’isteria, (isteria di conversione) affermò che un contenuto psichico, qualora represso, era capace di provocare importanti modificazioni corporee e parlò di un “misterioso salto” dalla mente al corpo che riteneva l’evoluzione degli studi scientifici avrebbe potuto chiarire.
Wilhelm Reich, uno psichiatra austriaco, introdusse nella psicoanalisi anche l’osservazione e il lavoro analitico sul corpo. Successivamente, le teorie di Reich offriranno lo spunto per lo sviluppo dell’analisi bioenergetica, metodica psicoterapeutica elaborata in seguito da Alexander Lowen. Questo approccio è costituito da una complessa combinazione di lavoro sul corpo e lavoro psicoanalitico.
All’inizio degli anni settanta, John Nemiah e Peter Sifneos coniarono il termine di ALEXITIMIA per definire un insieme di caratteristiche di personalità evidenziate nei pazienti cosiddetti psicosomatici.
L’alessitimia si manifesta nella difficoltà di identificare e descrivere i propri sentimenti, e a distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche.
I soggetti alessitimici hanno grandi difficoltà a individuare quali siano i motivi che li spingono a provare o esprimere le proprie emozioni, e al contempo non sono in grado d’interpretare le emozioni altrui. La loro capacità immaginativa e onirica è ridotta, talvolta inesistente; mancano di capacità d’introspezione, e tendono ad assumere comportamenti conformati alla media. I soggetti alessitimici tendono anche a stabilire relazioni di forte dipendenza o, in mancanza di esse, a preferire l’isolamento. Altro processo psichico frequente nei soggetti con tratti di personalità alessitimici è l’incapacità di mentalizzare e simbolizzare l’emozione. L’emozione viene vissuta per via somatica (direttamente sul corpo e senza elaborazione mentale), e non interpretata cognitivamente, né concettualizzata per immagini mentali o parole che la sintetizzino e contengano.
Studi più recenti (Fonagy, P., Target, M., 1999) descrivono come carenza di MENTALIZZAZIONE la mancata integrazione, nella prima infanzia, dei due diversi modi di porre in relazione il mondo esterno con le esperienze interne che caratterizzano la realtà psichica. Il primo, definito come “modalità di equivalenza psichica”, corrisponde a uno stato mentale “serio” che porta a distorcere il mondo interno affinché corrisponda alla realtà esterna; il secondo, che si presenta quando il bambino è impegnato nel gioco e che gli autori definiscono “modalità del far finta”, consente invece di considerare il proprio stato interno come indipendente dalla realtà esterna.
Se lo sviluppo procede normalmente l’integrazione di queste due modalità consentirà al bambino di raggiungere uno stadio, “stadio della mentalizzazione” o modalità riflessiva, in cui realtà esterna ed interna possono essere percepite come collegate, pur accettando che differiscano per importanti aspetti ed in cui gli stati mentali possono essere pensati come rappresentazioni. (Claudia Bartocci, Magi Ed.)
Nella stessa direzione sembrano condurre le ricerche del gruppo dell’Università di Parma,(coordinato da Giacomo Rizzolattii e composto da Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino) che tra gli anni ’80 e ’90, dedicandosi allo studio della corteccia premotoria, hanno individuato i NEURONI SPECCHIO.
Un gruppo di neuroni che rispondono all’azione/osservazione.
LA SIMULAZIONE INCARNATA rappresenterebbe la ripetizione all’interno della propria mente delle azioni compiute da persone che si stanno osservando e, secondo gli autori potrebbe rappresentare la base fisiologica dell’EMPATIA. Il sistema dei Neuroni Specchio sembra non attivo o perlomeno non adeguatamente in diversi disturbi psicologici quali l’autismo, disturbi di personalità e psicosi. Sembra quindi che carenti funzioni riflessive portino gli individui a somatizzare i propri disagi o ad agirli. Per AGITO (ACTING OUT) si intende l’espressione dei propri vissuti emotivi conflittuali attraverso l’azione piuttosto che con la riflessione, mentalizzazione e linguaggio.
La carenza di mentalizzazione o funzione riflessiva spinge infatti il soggetto ad agire impulsivamente, senza considerare le possibili conseguenze negative delle sue azioni. Si tratta di forme sintomatiche di scarica della tensione emotiva, che si producono a causa della difficoltà che queste persone incontrano nel collegare i comportamenti (propri e degli altri) con le intezioni. In alcuni soggetti l’impulsività che spinge all’agito si presenta come il tratto dominante della personalità e contraddistingue il modo di relazionarsi al mondo esterno e agli altri.
Secondo Jaques Lacan “Ciò che è precluso al simbolico, ritorna nel reale”.
Con pazienti che presentano problemi legati a carenza di mentalizzazione e simbolizzazione è necessario un lavoro psicoterapeutico che favorisca il recupero delle funzioni rappresentative che per vari motivi possono non essersi sviluppate nel corso dell’infanzia.
Gli studi più recenti sembrano indicare che lo sviluppo di queste funzioni richiede l’esistenza di aree transizionali (D. W. Winnicot) cioè di situazioni in cui sia possibile vivere esperienze VERE ma non REALI. Queste aree sono ad esempio IL GIOCO (dove si può fare finta e sperimentare qualunque esperienza senza che questo produca effetti sulla realtà); IL SOGNO e IL TRANSFERT.
Un’intervento psicodinamico può quindi favorire il recupero di funzioni riflessive; la riduzione dell’impulsività che spesso ha connotazioni gravemente distruttive e della tendenza a somatizzare.